una sinistra che continua a dividersi sulla difesa clientelare del potere che gli è rimasto. A questa Calabria sembra non interessare il rafforzamento di un potere ricattatorio padan-bossiano: autoritario,antimeridionale,ricattatorio anche nei confronti di un berlusconismo diventat pietosamente servile.

Ebbene,siamo convinti che il primo punto da cui muovere,per incominciare a diradare le nebbie del torpore sia la volontà di costruire una prima aggregazione anti-padan-bossiana che abbia la determinazione di percorrere gli infiniti sentieri del groviglio,la volontà di essere una prima operante espressione della soggettività della Calabria e del Meridione.

Il che è cosa ben diversa dal presentarsi a cercare “solidarietà” come improvvisati rappresentanti del Meridione,magari approfittando del fatto che la protesta dovrebbe tirare.

Ma saranno in grado le regioni meridionali : Calabria,Campania, Lazio di contrapporsi ai dictat bossiani che hanno reso servile questo governo?

Qualunque sarà l’esito delle prossime vicende, è certo che la repubblica padan-bossiana,la repubblica che già esiste anche se non ancora iscritta all’anagrafe, ha spostato ancor di più di quanto già non lo fosse,l’asse politica sulla Padania.

Bisogna riconoscere che questo era inevitabile,costituendo soltanto l’epilogo di un processo che ha radici lontane,ma non troppo, nel peccato originale della “mala unità”. Oggi la Calabria,il Meridione,è effettivamente una palla al piede,un costo netto e improduttivo; è effettivamente un paese svuotato, corrotto,senza forze e senza volontà.Il suo torpore,gravido di incubi che bruciano le residue energie, è reale. I dati enumerano una serie impressionante di cifre che testimoniano come la spaccatura socio-economica della nazione sia diventata più profonda e strutturale di quanto anche i più pessimisti potevano immaginare. La Calabria,il Mezzogiorno, è una realtà inquietante ,caratterizzata da una criminalità organizzata verso la quale l’intervento di questo governo è nullo !

Tutto ciò è potuto avvenire e può avvenire in quanto la Calabria,il Mezzogiorno, ridotta e ridottasi in posizione subalterna,a spazio coloniale in funzione dello sviluppo del sistema industriale padano,non ha più espresso alcun potere politico,una classe dirigente che,in nome della sua dichiarata e consapevole calabresità ne curasse e ne difendesse,con giustizia ma con forza,gli interessi; I partiti nazionali sono diventati per la Calabria canali di arruolamenti di mercenari,le loro sedi: caserme degli ascari.

E’ questo il nodo da cui oggi bisogna partire nell’assumere questa eredità comunque difficile,la base ineludibile per poter cominciare a mettere ordine nelle nostre proprie cose,tanto nell’organizzazione delle nostre forze come nella cura dei nostri mali . Il potere,è stato detto, è una precondizione di ogni processo di sviluppo. Il problema non è di sapere se , e di temere che, il Nord padano-bossiano vada per conto suo.Il problema è di riportare,in ogni caso,il potere politico al Sud,si intende per le cose che attengono alla Calabria ed al Mezzogiorno; di ridare alla Calabria un suo centro che sia punto di riferimento per tutte le energie che vagano disperse,o sono sommerse,e che forse si potrebbe scoprire sono più vitali e più numerose di quanto siamo in grado di sospettare. Molto,forse tutto, dipende dal modo come sa esprimersi questo bisogno di ripresa di soggettività,dal tipo di rapporto che si saprà istituire con gli” altri “ perché si potrebbe anche rischiare ,sotto l’apparenza del nuovo,ribadire vecchi percorsi,perché nulla cambi,portando ulteriori tossine e costruendo altri vicoli ciechi.

Vi sono alcune condizioni,o principi, da rispettare perché un agire politico in Calabria e nel Meridione sia calabrese e meridionale, e quindi popolare,e quindi democratico. Perché sia un agire politico secondo il senso che questo termine ha per il filosofo e per l’uomo comune, e che non ha per i politicanti e per gli ascari.

Il primo è quello dell’identificazione del bisogno.Da intendere,del bisogno della società calabrese e meridionale,di essere società feconda,non del bisogno della nostra particolare organizzazione politica di affermarsi. Solo spostando decisamente l’attenzione da noi al territorio,da noi alle condizioni storicamente costruite o costruitesi in cui si svolge la vita delle nostre popolazioni,solo ponendo in esse il centro dei valori,avremo un terreno su cui incontrarci con gli” altri” e l’incontro potrà essere fecondo. Si potrà verificare quel camminare con, che rende l’azione aperta ,leale,umile e forte,capace di rischiare ,libera,non prevaricatrice. Non sono,queste,parole astratte,poiché è intorno a questo punto che si avvita la crisi dei partiti,la cui soggettività è irretita in un soggettivismo gretto e parassìtario da cui è assai difficile che possa uscire, anche per ragioni strutturali su cui non è possibile ora soffermarsi. Sono posizioni pratiche, che peraltro rispondono ad una vocazione di fondo dell’anima dei meridionali,o almeno dei calabresi,che se da una parte sono afflitti da un duro abito di diffidenza e di grettezza, hanno tuttavia come loro componente di fondo un’apertura universale, testimoniata nella loro storia da un filo continuo ,da Gioacchino da Fiore a Campanella,a Telesio, a Francesco di Paola fino ad Alvaro, ad Enotrio,per ricordare solo alcuni dei nostri maggiori.

L’altra condizione perché in questa difficile eredità nascano soggetti capaci di lavorare a prosciugare pantani ed a tracciare sentieri, a liberarci da parassiti e parassitismi,senza indurne di nuovi ,è la coscienza del “debito”. Nessuno può cercare di divenire proprietario di un progetto,o suo gestore privilegiato,senza divenirne usurpatore;come nessuno può essere proprietario della terra,ma solo usurpatore. Così diceva la grande civiltà degli indiani d’America, distrutta da un uomo bianco incapace di camminare “ con”.La coscienza del debito significa che noi abbiamo il debito di partecipare ad un processo comune di liberazione e di costruzione;il debito di amministrare i luoghi e le posizioni che il processo può temporaneamente assegnarci ; il debito di non diventare mai – in nome di un bene comune,da noi stessi definito tale –né proprietari né sommi sacerdoti di esso.

Necessitano ulteriori passi in avanti con l’allargamento del sentimento della calabresità e della meridionalità, cosicchè esso diventi fatto organizzato visibile e trainante,contemporaneamente con la costruzione di forme organizzative e di meccanismi che diano articolazione pratica a quei principi e sconfiggano il pericolo del tramutamento delle istanze in strumento di affermazione personale e di gruppo; pericolo ancora forte e immanente, e quindi tale da essere potenzialmente presente nei nostri pensieri e nel nostro agire.

IL SONNO DELLA CALABRIA

Il compito davanti a cui si trova oggi la Calabria ed i calabresi è immane.E la confusione nasce anche dalle difficoltà di capire da dove cominciare. Questo spiega il torpore in cui la Calabria sembra immersa,tanto da non accorgersi ,da non dare segni di reazione davanti alle esplicite manifestazioni del Nord,sempre più precise e determinate. Gli annuali giuramenti di Pontida: la formalizzazione di un disegno di nazione padana,prendere o lasciare; le minacce di “secessione”, con la forza di ogni ricatto le “armi” del rifiuto fiscale il cedimento dell’integralismo razzista ed antimeridionale, il consolidarsi di una consistente forza politica ricattatrice con una forte rappresentanza parlamentare, e, nei centri dell’impalcatura istituzionale oltre che in tutti i luoghi sociali e produttivi ,oggi, anche bancari,ci pongono davanti alla realtà di una Repubblica del Nord alla quale, sin’ora, sembra essersi opposto il Presidente della Camera nella quasi assenza di